Sono molto legato a Aosta per tante ragioni e per me superare la strettoia di Bard con il suo bellissimo forte perfettamente restaurato per molto tempo – e ancora adesso – è un po’ tornare a casa. Sono stati gli anni della Sede – il primo comando in Rai – e poi Mont Blanc, la rivista di montagna che per un periodo diressi su richiesta di quel personaggio straordinario che era Pino Crespi, avvocato, notaio e nell’ultimo periodo della sua vita libraio e editore a Courmayeur, e gli amici valdostani perchè in Valle l’amicizia è una cosa molto seria, molti dei quali oggi non ci sono più.
Quando lo Stato Maggiore della Difesa mi propose come advisor sui media di dare una mano ai corsi OMLT, Operational mentor and liaison team, il fatto che si tenessero alla Caserma Battisti mi fece dunque molto piacere. La Testafochi e la Battisti sono le due storiche caserme degli alpini, anzi della Scuola Militare Alpina, insediate a Aosta con, se si vuole, il piccolo ma significativo distaccamento informale presso Papà Marcel a Croce di Città. I corsi si tenevano lì per preparare quel personale militare OMLT, in partenza per l’Afghanistan, che aveva il compito di assistere e formare il personale militare afgano. Furono corsi molto belli per tutti come esperienza e per il rapporto che si creava. Molti di quelli che partecipavano – appartenenti a tutte le Forze Armate – avevano già avuto esperienza in quel teatro, altri meno. Avevo alle spalle già tre missioni e le informazioni che ci scambiavamo erano utili per tutti.
Poi ci fu, ad agosto del 2021, la ignobile fuga americana da Kabul. Quelle immagini convinsero Putin di una debolezza occidentale che finì per sottovalutare mentre il ritorno di un regime feroce e spietato come quello dei talebani, dopo venti anni di libertà sia pure relativa, riprendeva a distruggere il Paese e la sua gente.
In questi giorni però il Segretario dell’ONU Gutteres a Doha riunisce gli inviati speciali in Afghanistan per rivedere proprio i rapporti con il governo talebano che non ha rispettato nessuno degli impegni presi a suo tempo mentre l’Afghanistan vive una terribile crisi umanitaria. Le donne afgane scendono in piazza in queste ore, come in Sudan, per rivendicare pace, vita e libertà per tutti.
Viene da pensare ai soldati afgani che lavoravano fianco a fianco con i loro colleghi italiani, con cui avevamo passato quei giorni valdostani. Si crearono fra loro rapporti di amicizia e collaborazione, di rispetto reciproco. Oggi invece è impossibile persino sapere se laggiù nella valle di Herat, a Farah, a Shindand quegli uomini siano ancora vivi.
