Logbook 295 – Retrobotteghe Oscure

Rileggo la biografia di Pietro Secchia che Miriam Mafai pubblicò nel 1984. Scritto benissimo da una autrice che le fonti le conosceva bene e che sapeva quel che si poteva dire e quello che era meglio non dire. Viene fuori un Pci e diverse generazioni di comunisti per i quali la Mosca di allora, Giuseppe Stalin compreso, era punto di riferimento esistenziale.

Il titolo richiama a un uomo che sognava la lotta armata o forse meglio la rivoluzione, una rivoluzione impossibile dopo il 1944 perchè a Yalta il mondo occidentale era già stato spartito fra le grandi potenze. L’Italia era in ginocchio, la Resistenza divisa e contesa, forse soggetta a episodi inenarrabili come sarebbe stata la guerra civile locale che insanguinò alcune zone del Paese nell’immediato dopoguerra.

Secchia è l’eterno numero due. Non a caso il suo soprannome ufficiale è Botte, che i suoi compagni derivavano da Bottecchia, l’eterno secondo del ciclismo italiano. Togliatti era sempre avanti di un passo o due rispetto a lui e agli altri. A guerra finita, guerra che Togliatti aveva trascorso a Mosca mentre Secchia, Longo e gli altri rischiavano la pelle, Togliatti fu il garante di Stalin che l’Italia si sarebbe adeguata all’accordo e che quindi eventuali insurrezioni – il sogno di Secchia e non solo suo – erano da scoraggiare in tutti i modi. 

La storia finì malissimo. Il braccio destro di Secchia, Giulio Seniga, sparì con una montagna di soldi del partito e una serie di documenti molto importanti. Lo scandalo distrusse Pietro Secchia, catapultandolo dal banco degli accusatori – che aveva assiduamente e ferocemente frequentato – a quello degli accusati con un linciaggio che non escluse neppure la vita intima. 

Il Pci era questo, era anche questo. Qualche giorno fa qualcuno ricordava una altra  storia emblematica. Come noto le sedute parlamentari sono pubbliche da sempre. Nel 1976 quando Marco entrò in Parlamento con Mellini, Adele e Emma, una delle prime cose che fece fu di collegare a Radio Radicale la Radio Aula che serviva negli uffici ai deputati per seguire il dibattito in corso. 

I primi collegamenti furono molto precari ma nel tempo migliorarono e anche il segnale divenne più forte fino a coprire tutta Italia. Divenne presidente della Camera Nilde Iotti, oggi beatificata dimenticando forse alcuni aspetti non marginali della persona come l’episodio che segue. La Iotti si inventò infatti un marchingegno che dalla presidenza, quando parlavano in aula i radicali, isolava il microfono impedendone la trasmissione via radio, in modo che si potessero sentire tutti gli interventi tranne quelli radicali. 

Erano i tempi dell’ostruzionismo in cui impediva ai parlamentari di bere un cappuccino o di leggere appunti, anche se gli interventi duravano fino a diciotto ore, come quello record di Marco Boato. Il giochetto del pulsante durò finchè Marco Pannella se ne accorse e armò un tale casino che la Iotti dovette fare una poco dignitosissima marcia indietro. 

Piccole cose, certo. Veramente piccole ma che denotavano una mentalità, una cultura. Si potrebbe magari parlare anche di come venne trattato dal Pci il figlio disabile di Togliatti o quella di Ennio Flaiano, anche lei disabile, ma quella è ancora un’altra storia e non di quelle belle quindi meglio chiuderla qui.

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