Logbook 299 – Storie in ombra

Il mondo radicale degli ultimi decenni del secolo scorso era un mondo molto particolare. Persone che si incontravano saltuariamente in una epoca in cui i cellulari di fatto non esistevano, erano legati da progetti, politica quotidiana, impegni forti in periodi referendari sia per le raccolte firme che per il voto oppure nelle ricorrenti tornate elettorali. Radio Radicale diventava il collante per tutti e il suo archivio – realtà oggi unica al mondo per chi è interessato alla storia della democrazia – è testimonianza della nascita e della crescita di fenomeni politici e sociali imprevisti.

I radicali erano di fatto una piccola grande famiglia con relative psicopatologie familiari, con i vecchi saggi (più o meno saggi in alcuni casi), con i giovani (più o meno rampanti) ma soprattutto con un personaggio faticoso e geniale come Marco che faceva da playmaker, da regista, a tutto il baraccone. Esigente e rigoroso, Marco rappresentava – almeno per chi sopravviveva all’esperienza – una straordinaria scuola di politica ma anche di vita e di cultura.

Dalla radio scopro la scomparsa di Marino Busdachin e quanto sopra rientra perfettamente in questo contesto. Marino conosceva bene e amava Trieste ma anche l’est Europa – quando ancora c’era la Cortina di ferro – lo aveva visto impegnato in prima persona. Ci vedevamo solitamente a Trieste dove Marco piombava come la cavalleria mongola, sconvolgendo contesti politici e campagne elettorali fio a quel momento esangui. Trieste era per lui una delle sue città, come Catania e Napoli, Napoli soprattutto.

Il suo albergo triestino di riferimento era l’Albergo della Posta e spesso il ristorante lì a due passi era l’unico a dargli e a darci da mangiare in orari impossibili, finite magari dirette tv di ore. Una volta – la ricordo bene – c’era non so che finale di calcio con l’Italia che giocava e noi eravamo gli unici due clienti nel locale mentre i camerieri ci seguivano con odio affettuoso, rigorosamente dotati di auricolare e non era raro vederli trasalire per un gol mancato mentre ci portavano la cena.

Marino era uno di quelli che a Trieste era solido riferimento. Era la sua città e ha sempre cercato di contribuire a darle un respiro più ampio che a volte, nonostante la bora, sembrava spegnersi. Poi appunto Mosca, Varsavia (mentre a Praga c’era Paolino Pietrosanti, altra storia da raccontare), e ancora il conflitto nella Ex Iugoslavia e i relativi crimini che aveva comportato e ancora New York con Non c’è pace senza giustizia, di cui ebbe – vado a memoria – la responsabilità per qualche anno.

La storia di Marino Busdachin è una di quelle storie radicali che questo Paese non può dimenticare semplicemente perché non ha avuto modo di conoscerle ma che – nonostante questo, forse proprio per questo – merita di essere conosciuta e raccontata. La sua voce resta negli archivi radiofonici di cui parlavamo e comunque questo è già qualcosa per chi avesse voglia di conoscere la sua storia e il suo impegno.

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