Palazzo Reale può spiegare molte cose di Napoli. Gli otto bruttini pupazzoni tardottocenteschi che dominano la facciata rappresentano infatti alcuni dei re di Napoli, scelti con rigorosa ingiustizia, visto che alcuni che ci sono non ci dovrebbero stare mentre altri che non ci sono avrebbero tutto il diritto alla relativa collocazione.
Sia come sia, in sintesi di questi otto re, tre sono spagnoli, due tedeschi, due francesi e un piemontese. Vero é che il nipote del piemontese in questione nasce nel palazzo e diventa principe di Napoli ma in tutta la sua vita parlerà solo torinese e si farà fare fesso per un ventennio da un furbo romagnolo, cosa che un napoletano doc forse sarebbe riuscito a evitare.
Insomma Napoli é qui, su questa facciata che guarda Napoli, con secoli e secoli di re che della città poco sapevano e meno gli importava. Forse gli ultimi due Borboni – Ferdinando e Franceschiello Dio Guardi – erano gli unici veri re che questa città ha prodotto in autarchia. Il loro regno comunque non fu male se costrinse l’Inghilterra, per paura di perdere il Mediterraneo, a darsi da fare dalle parti di Torino per farlo cadere.
Napoli il potere lo vive così e lo conosce per esperienza diretta, fra mannaje e forche. A poche decine di metri dagli studi di Radio Radicale c’è Piazza Mercato, luogo tradizionalmente dedicato oltre che ai legittimi commerci quotidiani, alle forche delle esecuzioni. Fra le altre cose, il 12 dicembre del 1799 ci rimise il collo insieme a altri rivoluzionari repubblicani un Carlo Romeo, avvocato molisano, forse personale avo ma sicuramente pessimo poeta a leggere i versi che ha lasciato
A pochi metri da Palazzo Reale, la chiesa di San Ferdinando domina la piazzetta che lo affianca. Chiesa in origine gesuita, lo manifesta dai San Francesco Saverio e dai San Luigi Gonzaga in cui inciampi qua e là. Il suo presepio é napoletano, il che vuole dire necessariamente un capolavoro. Riproduce perfettamente la piazza e la chiesa con decine di personaggi anche se la Sacra Famiglia é un po’ sacrificata, in una specie di monolocale artistico ma un po’ sfigato, a ridosso della quinta di destra mentre la scena la dominano invece gli abitanti della piazza.
Esci e scopri sul marciapiede, a lato della chiesa, il celeberrimo banco dell’acquafrescaio, decorato di maioliche. Lì nasceva nel 1837 (come specifica un antico cartello maiolicato anche lui) la famosa limonata a cosce aperte. Carolina e Antonio Guerra aprirono proprio in quell’anno l’esercizio e la loro limonata, che peraltro evoca ambigue morbose visioni, divenne rapidamente un classico napoletano. Il pizzico di bicarbonato finale della preparazione rende infatti la bibita parecchio effervescente con effetti immediatamente straripanti dal bicchiere – anzi quasi eruttivi per restare in tema – da cui il relativo consiglio e ormai antico brand napoletano, prima e mentre la si beve, se si vogliono salvare gonne e calzoni.
