C’è un film. Chiusi in una stanza dodici uomini devono decidere se condannare a morte un ragazzo accusato di avere ucciso il padre. Le prove sembrano tutte a suo carico e la prima votazione dà undici di loro per la colpevolezza. Uno solo vota contro. Nel sistema americano, dove é ambientato il film, due elementi sono determinanti per tenere il filo della narrazione. Il primo é che la sentenza deve essere oltre ogni ragionevole dubbio, la seconda che ci deve essere unanimità fra i giurati.
Il film é famoso e uscì nel 1957. Sono anni di segregazione, di caccia alle streghe, e ci volle tutto il coraggio di Sidney Lumet e di Henry Fonda per farlo. Il giurato che per primo vota per l’esistenza di ragionevoli dubbi lo interpreta lo stesso Fonda e é una delle sue migliori interpretazioni. Cinema puro, tutto in una sola stanza, nessun effetto speciale, ma dove ogni istante é tensione costruita su personaggi e parole, seguendo la traccia shakespeariana quando la parola, per necessità o per arte, supera l’immagine.
É da vedere e rivedere – anche nella molto più recente versione su Prime con un Jack Lemmon anziano e serenamente tragico, soprattutto in tempi presuntuosi dove intelligenza (e quindi dubbio e domande) e dialogo (quindi rispetto) sono scarsamente, molto scarsamente, presenti sui giornali, nella politica, nella vita quotidiana.
Una battuta divenne famosa. Un giurato particolarmente diciamo irruente chiede a un altro perché diavolo debba essere sempre così compíto. L’altro risponde, sempre molto gentilmente, “Per la stessa ragione per cui lei non lo é. Sono stato educato così”. Il che, per esempio a chi fa nelle redazioni certi titoli “ignoranti” (come si dice a Roma e in Romagna) potrebbe persino essere un concetto stupefacente.
