Ci sono due categorie – oltre le donne – che proprio non riesco a capire. Una è quella dei tifosi di calcio ma è un problema relativo perchè ci frequentiamo poco e a molta distanza. L’altra invece è una categoria con cui invece ho bene o male rapporti stretti e racchiude quella costellazione complessa che sono gli editori di libri o presunti tali.
Vorrei capirli, intendiamoci, ma mi risulta difficile entrare nei loro meccanismi. Un po’ come le banche che prestano soldi solo se dimostri che non ne hai bisogno, gli editori cercano di pubblicare solo sul sicuro, cercando sempre di rischiare pochissimo. Tomasi di Lampedusa per esempio ma lo stesso Andrea potrebbe usare parole di fuoco in merito. Anche Andrea peraltro potrebbe dire cose interessanti in merito ma ebbe la fortuna, già avanti negli anni, di incontrare Elvira Sellerio mentre Tomasi di Lampedusa morì pochi giorni dopo l’ennesimo rifiuto. Per non evocare poi J. K. Rowling, visto che il maghetto con gli occhiali tondi non convinse all’inizio soltanto sette o otto case editrici.
Ci sono quattro categorie di libri. I libri che non si vendono, i non-libri che non si vendono, i libri che si vendono e infine la categoria che più sembra affascinare gli editori i non – libri che si vendono a carrettate. Perchè la differenza c’è e è parecchia fra un libro e un insieme di pagine stampate dove quello che conta è il nome e la foto in copertina, anche se magari non hanno nulla a che fare con il contenuto. I libri che prendono, che ti fanno imprecare quando arrivi all’ultima pagina, ci sono e non sono necessariamente capolavori. Sono solo buoni libri, scritti bene, dove senti che l’autore ha scritto e riscritto, letto e riletto, spesso – come il suo lettore – faticando a andare avanti oltre le prime pagine.
Buoni libri. Solo che la frenesia editoriale, sia che si tratti di piccoli o grandi imprenditori, è quella di pubblicare più titoli possibile nell’anno. Non è importante se un libro è buono ma che nel catalogo ci siano centinaia di libri e poco importa se ormai in Italia il numero degli scrittori supera quello dei lettori. La peste della scrittura dovrebbe essere combattuta per legge. Servirebbero i critici ma i critici sono categoria disprezzabile e disprezzata da secoli, invischiata com’è in amichettismi e nemichettismi, mode e banalità, pronti a stroncare chi non passa dai salotti e dalle terrazze.
Servirebbe un rigoroso esame, come per il porto d’armi, prima di pubblicare un libro che ha tradizione di sacralità, di eternità, perchè ferma il tempo. Umberto Eco nel suo Pendolo spiega bene come fare non libri a spese degli autori, riuscendo a coprire le spese e a guadagnarci sopra qualcosa, sempre credendoci il minimo garantito. Oggi stampare un libro è semplicissimo e anche venderlo non è difficile, soprattutto se hai amici (magari che so per esempio a Mosca) che in qualche modo ti aiutano a vendere le prime migliaia di copie, creando così il caso editoriale.
Insomma entrare in una libreria è come per uno che non mangia da un mese aggirarsi per Via degli Orefici a Bologna, dove il cibo trionfa ovunque. Nelle librerie rigurgitano libri, anche se i titoli reggono quindici giorni al massimo poi scompaiono e purtroppo scompaiono anche i librai, visto che molte librerie chiudono. Il lettore raffinato si butta sui classici o sulla rilettura o ancora si crea una congrega di amici che abbiano simili gusti letterari e ci si trasforma in pusher, spacciando titoli e autori sottovoce e sottobanco. I long seller esistono, spesso nonostante gli editori stessi incapaci di valutare un titolo che ogni anno vende regolarmente delle copie senza magari essere ristampato. I vecchi titoli saranno molto probabilmente la fortuna dei nuovi editori se sapranno scegliere e trovare i buoni libri.
