Logbook 280 – Amari aliquid

Da Genova a Venezia è lunga ma affascinante. A Genova il Ferian ha ormeggiato diverse volte, dal Porto Antico al mitico Yacht Club, dove arrivammo dall’Elba, una quindicina di anni fa, con il pilota automatico in avaria, Luca, Matteo e io. Turni impegnativi al timone quindi, a parte il fatto che fa un certo effetto essere svegliati, per il cambio di turno, nel cuore della notte, dalla voce di un amico – persona e attore straordinari – che la presta abitualmente in tv con tutto il resto, al commissario di Vigata. Matteo invece era appena rientrato dal penultimo tentativo di record atlantico sul suo catamarano da sei metri e quindi, nonostante il maraglione che trovammo, per lui fu una rilassante passeggiata a conferma che sul mare, come nella vita, tutto è relativo. Storia vecchia, già raccontata nel libro per Mursia che però fa sempre piacere ricordare, per ricordare con affetto amici che non vedo da tanto.

Genova e Venezia dunque. L’ingresso via mare a Venezia però è veramente qualcosa di particolare, se hai la fortuna di non esserci abituato. Arrivammo che era già sera con Cristian a prua che aveva come sempre la telecamera accanto e ci dirigemmo verso l’Arsenale dove ci aspettavano per una attività realizzata con la Marina. Entrare in Arsenale è anche quello un momento che resta se si va per mare. L’apertura all’esterno è stretta, poi si spalanca il bacino che appare enorme, arrivando dai canali. Il suo fondale è facile immaginare raccolga il più antico museo di attrezzi da cantiere navale, regalatigli da generazioni di arsenalotti per secoli e secoli di attività, con i relativi corredi di imprecazioni, in veneziano stretto.


È l’arsenale, l’arzanà raccontato da una tale che lo vide in opera e cha sapeva far bene anche il reporter. Quale ne l’arzanà de’ Viniziani bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani, ché navicar non ponno – in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più vïaggi fece; chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa. Fine del reportage.
Venezia è il mare che si presta a far finta di essere terra. Entrando dal Lido – e non passando quindi dai canali interni – questo effetto diventa ancora più evidente. Il mare si apre un varco verso terra e concede a una comunità qualcosa di sé che è simbolo di coraggio, di fantasia, di grandezza, dalla prima pietra posta a Rialto, ben oltre un millennio fa.


È Venezia e torna in mente il capolavoro di John Ruskin dove le pietre della città sono il centro della narrazione. La Rai di Pierluigi Celli, a fine millennio scorso, ti nomina direttore della Sede Rai di Venezia e tu rifiuti per la famiglia a Roma e per altre ragioni. Così fu invece la Sede Rai dell’Emilia – Romagna, un periodo comunque molto, molto bello. Ancora oggi però ti resta dentro un vago senso di indefinibile per quella mancata esperienza veneziana, una sorta insomma di amari aliquid, tanto per rompere le balle anche a Lucrezio. Corre dunque l’obbligo di tornare a Venezia. ASAP.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: