Ogni miglio in navigazione e ogni minuto in porto sono indimenticabili per chi ama e conosce il Vespucci. Quando poi le miglia sono qualche migliaio e i porti vanno dall’Egeo all’Atlantico, dal Mar di Corsica al Mar di Alboran e poi la Manica, La Rochelle o Amburgo, è qualcosa di quelle poche cose che ti resta dentro e fa parte di te – con l’umiltà che insegna il mare e la nave – e sai che ci resta per sempre.
Arrivammo a Portsmouth da Amburgo, comandante Roberto Recchia, nostromo Giulio D’Elia, dopo avere passato un luogo classico della fantasia letteraria come le bianche scogliere di Dover. Scendemmo a terra con una domenica davanti e con Cristian ci ritrovammo quasi casualmente – era ora di pranzo – a sperimentare un rito antico come il sunday roast, roba che risale ai tempi di Enrico VIII. Per Cristian – che con la sua telecamera di miglia ne ha fatte parecchie a bordo anche lui – da buon urbinate, l’idea di un festival di arrosti come era cosa da lasciarlo indifferente mentre il sottoscritto- mai peraltro stato amante della carne – subì più il fascino della tradizione che quello della gastronomia, anche se, alla fine della fiera, l’esperienza risultò gastronomicamente gradevole.
I tempi di permanenza all’ormeggio del Vespucci non erano lunghi ma, in ogni caso, da vedere c’era la Victory. La Victory naviga nel cemento e, pur essendo in teoria la prima nave della flotta di Sua Maestà, si può considerare – con rispetto parlando – un monumento terrestre. Delude un po’ il restauro disneyano ma la targa che segna il punto dove cadde Nelson un suo senso lo ha e ne ha parecchio.
Poco distante, la Mary Rose nel buio artificiale del fondo del mare racconta la sua tragedia. La nave nasce nel 1509 e affonda nell’estate del 1545. Affonda per golosità di cannoni, patologia navale del secolo, dove il loro numero garantisce vittoria ma anche, se il peso non è ben distribuito, un inabissamento molto rapido come appunto accadde alla nave davanti a Portsmouth, sotto gli occhi del re, durante un combattimento con gli odiati francesi. La nave imbarca acqua dal lato di sinistra – babordo – e si poggia su quello di destra – tribordo – che finisce nella sabbia e si salva per quello. Le teredini mangiano la metà della nave in acqua e risparmiano la parte coperta dalla sabbia, dividendo in longitudine perfettamente lo scafo da poppa a prua.
Il restauro è di pochi decenni fa e la nave oggi riposa nel suo museo – poco lontano dalla Victory – in un affascinante gioco di luci e di buio. La Mary Rose ha restituito molto della sua storia e della storia della navigazione inglese di quel periodo, consentendo agli esperti di ridare persino quei lineamenti che il mare aveva mangiato lasciando solo le ossa, come è accaduto per uno degli arcieri della nave di cui oggi conosciamo la faccia ma non il nome. Erano oltre quattrocento in equipaggio a bordo, fra marinai e soldati, per una nave lunga neppure quaranta metri e ragionevolmente non si salvarono in tanti, forse nessuno. Storie di mare ma Portsmouth è capitale per la storia del mare, delle navi e dei marinai.
